AGENZIE DI RATING:

 

IL DECLINO DELL'INTEGRITÀ FINANZIARIA

Finanza

 

di Simone Macelloni


 

 

 

Le agenzie di rating, come Standard & Poor's, Moody's e Fitch, sono da lungo tempo considerate pilastri di sicurezza finanziaria, dispensatrici di giudizi attendibili che guidano le decisioni degli investitori in tutto il mondo. Tuttavia, la crisi finanziaria del 2008, innescata dal collasso di Lehman Brothers, ha evidenziato le profonde inadeguatezze di questo sistema.

 

 

Contesto Storico e Ruolo delle Agenzie di Rating:

 

Queste società hanno origini che risalgono a oltre un secolo fa, quando la necessità di valutare il credito delle ferrovie e di altre grandi imprese industriali cominciò a emergere negli Stati Uniti. Originariamente, queste istituzioni fornivano esclusivamente informazioni creditizie agli investitori, ma con il tempo, il loro ruolo si è espanso significativamente. Oggi, le agenzie di rating valutano la solvibilità di una vasta gamma di entità, incluse aziende, istituzioni finanziarie, e persino stati sovrani.

Il loro ruolo nel sistema finanziario è la fornitura di una valutazione della probabilità che un debitore sia in grado di rimborsare il proprio debito. I rating assegnati, che vanno da 'AAA' per gli investimenti di qualità più alta a 'D' per quelli in default, condizionano le decisioni degli investitori e la disponibilità di capitale per i debitori. Questi giudizi hanno quindi il potere di influenzare le condizioni di prestito, i tassi di interesse e, in definitiva, la stessa struttura del mercato finanziario globale.

 

 

La Crisi dei "subprime":

 

I "subprime" sono prestiti concessi a individui con bassa affidabilità creditizia e un elevato rischio di insolvenza. Questi mutuatari non soddisfano i criteri standard per l'approvazione dei prestiti, spesso a causa di un punteggio di credito basso, un rapporto debito/reddito elevato o una storia di insolvenze. Per compensare il rischio associato, i mutui subprime prevedono tassi di interesse più alti rispetto ai mutui "prime". Il richiamo di rendimenti elevati offerti da questi tassi ha incentivato molte banche e istituti di credito a incrementare la concessione di tali prodotti. Questi prestiti venivano spesso aggregati in strumenti finanziari complessi, come titoli ipotecari (MBS) e obbligazioni garantite da debiti (CDO). Una volta creati, questi titoli venivano venduti a investitori globali, diffondendo il rischio di default nei mercati finanziari internazionali.

 

 

La percentuale di mutui subprime sul totale dei mutui nuovi aumentò significativamente dal 2001 al 2007, riflettendo una tendenza crescente all'assunzione di rischi maggiori nel mercato immobiliare. Questo aumento costante è uno degli indicatori che ha contribuito all'insorgere della crisi finanziaria successiva.

 

 

Durante la crisi immobiliare che ha portato al fallimento di Lehman Brothers, molti mutui erano stati emessi con valori superiori al reale valore delle case, noti come "underwater mortgage". Questi mutui erano strutturati in modo tale che, in caso di insolvenza, l'unica opzione per la liquidazione fosse vendere l'immobile. Di fronte al crollo del mercato immobiliare, all'aumento dei tassi di interesse e alla stagnazione dei redditi, molti mutuatari hanno scelto di non ripagare il debito, accelerando i pignoramenti e aggravando la crisi. Questo scenario ha sollevato dubbi sulla capacità delle agenzie di rating di fornire valutazioni accurate, indipendenti dalle pressioni esterne, e sulla loro incapacità di prevedere una delle maggiori crisi finanziarie della storia.

Molte agenzie assegnarono valutazioni "AAA" a questi titoli nonostante fosse evidente la loro rischiosità. Documenti interni emersi durante le indagini hanno rivelato che gli analisti erano consapevoli delle debolezze di questi prodotti, ma sentirono pressioni per non compromettere le relazioni con i clienti.  

 

 

Cenni storici di altre "sviste" significative:

 

 1. Asian Financial Crisis (1997-1998): Le agenzie di rating sono state criticate per il loro ruolo nella crisi finanziaria asiatica. Mantennero valutazioni elevate per molti paesi nonostante segnali di vulnerabilità economica, per poi declassare rapidamente il debito quando la crisi era già in corso, contribuendo ad aggravare l’instabilità economica e finanziaria nella regione.".

 

2. Orange County Bankruptcy (1994): Orange County, California, dichiarò bancarotta a causa di investimenti rischiosi in derivati. Le agenzie di rating non avevano adeguatamente riflettuto il rischio di tali investimenti nelle loro valutazioni, nonostante alcuni segnali di pericolo evidenti.

 

3. Enron (2001): Le principali agenzie di rating hanno mantenuto valutazioni di investimento relativamente alte per Enron fino a poco prima che l'azienda dichiarasse fallimento nel dicembre 2001. La mancata identificazione della vera situazione finanziaria e dei suoi conti fuorvianti è stata un grave fallimento per queste agenzie.

 

4. WorldCom (2002): Come nel caso di Enron, le agenzie di rating non hanno saputo valutare adeguatamente la situazione di WorldCom, che è andata incontro a uno dei più grandi fallimenti per bancarotta nella storia degli Stati Uniti. Anche in questo caso, i rating sono stati abbassati solo poco prima del collasso dell'azienda.

 

 

La Tirannia del Rating: Austerità e Crisi di Sovranità:

 

Le agenzie di rating operano in un modello di business che solleva importanti interrogativi sull'indipendenza e l'affidabilità dei loro giudizi. Il principale motivo risiede nel fatto che queste agenzie sono pagate dai soggetti che valutano. Questo sistema, noto come "issuer-pays model", implica che gli emittenti di obbligazioni e altri strumenti finanziari finanzino direttamente le valutazioni che ricevono, generando un potenziale conflitto di interesse. Gli emittenti potrebbero influenzare i giudizi delle agenzie minacciando di rivolgersi a concorrenti più indulgenti e una valutazione negativa potrebbe disincentivare la richiesta di ulteriori valutazioni riducendo le entrate delle agenzie.

Quando si tratta di stati sovrani, i conflitti di interesse si amplificano, poiché i giudizi di queste agenzie non solo incidono sui tassi di interesse dei titoli di stato, ma possono anche avere implicazioni politiche e sociali profonde. Durante la crisi del debito sovrano dell'Eurozona (2010-2012), la BCE ha introdotto programmi straordinari come l'Outright Monetary Transactions (OMT) e, successivamente, il Quantitative Easing (QE), per acquistare titoli di stato, incluso il debito italiano. Tuttavia, queste misure sono state accompagnate da vincoli stringenti, tra cui il rispetto di specifici criteri di rating stabiliti dalle società di valutazione creditizia. Queste ultime sono state accusate di amplificare la crisi del debito sovrano declassando rapidamente i titoli di stato di paesi come l’Italia. Quando un titolo di stato veniva declassato sotto il livello "investment grade" (o "junk"), diventa inammissibile per l’acquisto da parte della BCE secondo i regolamenti vigenti.

L’Italia, con il suo alto debito pubblico, è stata particolarmente vulnerabile a queste dinamiche. Nel 2011, durante la crisi del debito, i rendimenti sui titoli italiani sono aumentati vertiginosamente, costringendo il governo a misure di austerità. I declassamenti da parte delle agenzie di rating hanno avuto un ruolo centrale in questa spirale negativa, sollevando il dubbio che i loro giudizi possano essere stati influenzati da considerazioni politiche o economiche, piuttosto che da una valutazione imparziale della sostenibilità del debito.

 L’articolo 11 della Costituzione italiana afferma che "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni". Tuttavia, i giudizi delle agenzie di rating possono entrare in conflitto con questi principi costituzionali. Influenzando il costo del debito, tali giudizi possono creare vincoli economici che limitano la capacità dello Stato di adottare politiche autonome, mettendo così in discussione il principio di "condizioni di parità" sancito dalla Costituzione. Inoltre, le valutazioni delle agenzie possono essere percepite come strumenti di pressione economica che confliggono con l’ideale di "giustizia fra le Nazioni" enunciato nell’articolo. Questo aspetto è ulteriormente aggravato dall’assenza di trasparenza e controllo democratico sulle decisioni delle agenzie di rating, le quali hanno un impatto profondo sulla vita dei cittadini ma non sono soggette a verifiche che ne garantiscano la compatibilità con i principi di sovranità e uguaglianza previsti dalla Costituzione.

Le misure di austerità introdotte in Italia a partire dal 2011 avevano l'obiettivo di ridurre il rapporto debito/PIL attraverso il contenimento della spesa pubblica e l'aumento delle entrate fiscali. Tuttavia, l'analisi dei dati storici suggerisce che tali politiche non hanno prodotto i risultati sperati. Secondo i dati di Trading Economics, il rapporto debito/PIL italiano è passato dal 116,5% nel 2011 al 131,8% nel 2017. Questo incremento indica che, nonostante le misure di austerità, il debito pubblico è continuato a crescere in proporzione al PIL. Un'analisi dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani evidenzia che, sebbene l'Italia abbia mantenuto un avanzo primario (saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito), il debito pubblico è aumentato a causa di una crescita economica insufficiente e di tassi di interesse elevati. Le politiche di austerità, riducendo la spesa pubblica e aumentando la pressione fiscale, hanno contribuito a rallentare l'economia, rendendo più difficile la riduzione del rapporto debito/PIL. In sintesi, le misure di austerità adottate dall'Italia a partire dal 2011 non hanno portato a una diminuzione del rapporto debito/PIL. Al contrario, l'inasprimento fiscale ha contribuito a una crescita economica debole, ostacolando gli sforzi per stabilizzare e ridurre il debito pubblico in relazione al PIL.

 

 

Ecco il grafico che mostra l'andamento del rapporto debito/PIL in Italia dal 2011 al 2021. Come si può osservare, nonostante le misure di austerità introdotte a partire dal 2011, il rapporto debito/PIL è aumentato costantemente fino al 2020, con un picco significativo durante la pandemia. Solo nel 2021 si notò una leggera riduzione, attribuibile principalmente alla ripresa economica

 

 

 Le misure di austerità raramente si dimostrano efficaci nel ridurre le disuguaglianze economiche e, come dimostra anche il caso della Grecia, tendono spesso ad aggravare il problema. Dopo la crisi del debito sovrano, la Grecia ha implementato rigide politiche di austerità imposte dalla Troika (UE, BCE e FMI), che hanno comportato drastici tagli alla spesa pubblica, aumenti della tassazione indiretta e riforme strutturali. Questi interventi hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione, con aumenti significativi della disoccupazione, della povertà e della disuguaglianza sociale. Tagli ai servizi essenziali come la sanità e l’istruzione, insieme alla riduzione di salari e pensioni, hanno colpito in modo sproporzionato le fasce di reddito più basse, accentuando le disuguaglianze e peggiorando il tessuto sociale. Sebbene l’austerità mirasse a stabilizzare il debito pubblico, il rapporto debito/PIL è aumentato a causa della contrazione economica, dimostrando l’inefficacia di tali misure nel risolvere problemi strutturali.

 

 

L'Eredità di Charles Dow e la Lezione per le Agenzie di Rating:

 

Charles Dow, uno dei padri fondatori dell’analisi finanziaria moderna e creatore del Dow Jones Industrial Average, incarna i principi di trasparenza e integrità che dovrebbero guidare il mondo della finanza. Dow credeva fermamente che l’informazione finanziaria dovesse essere accurata, accessibile e priva di conflitti di interesse, affinché gli investitori potessero prendere decisioni consapevoli. La sua metodologia era radicata nell’idea che il mercato riflette tutte le informazioni disponibili e che l’onestà nel riportare i dati fosse essenziale per mantenere la fiducia degli investitori. Al contrario, il funzionamento delle agenzie di rating come Standard & Poor's, Moody's e Fitch solleva seri dubbi su tali principi. Operando nel controverso modello "issuer-pays", queste agenzie ricevono compensi dai soggetti che valutano, un meccanismo che alimenta conflitti di interesse e mina la fiducia nella loro imparzialità.  La crisi dei mutui subprime e le crisi del debito sovrano, evidenziano come le agenzie di rating abbiano amplificato le turbolenze economiche con valutazioni tardive o inadeguate. La loro mancanza di trasparenza e indipendenza ha avuto conseguenze devastanti, non solo per i mercati, ma anche per le vite di milioni di persone colpite dalle politiche di austerità rese necessarie dall’aumento del costo del debito.

 

 

 

"The truth in its proper use" ("La verità nel suo uso appropriato") -> Charles Dow e trasparenza